La moda in Italia è sempre più attenta ad un modello di tessile sostenibile. Tanto che è appena scaduto il bando “investimenti pubblici” del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, nella filiera del comparto tessile e del cuoio con ben 30 milioni di euro disponibili. Sia che si tratti di fondo perduto o di finanziamento agevolato, la parola d’ordine oramai pare un modello del tessile sempre più sostenibile e di un comparto moda sempre più proiettato alla valorizzazione di tutta la filiera. Ma è davvero cosi? E’ questa la moda nel futuro italiano? Ma soprattutto, “traghettare” la moda nel futuro con un modello di tessile sempre più “di valore” ( e quale è questo valore), è possibile? Lo chiediamo ad un esperto del settore che ha fatto del modello di un tessile sostenibile un vero e proprio mood. Marco Piu.
Marco Più è chimico con esperienze professionali nell’industria cartaria, dei coloranti e pigmenti e dal 2011 nel campo tessile. Oggi libero professionista, dal 2019 al 2024 ha diretto Associazione Tessile e Salute impresa sociale, unico ente multi stakeholder in Italia e tra i pochissimi al mondo, ad occuparsi di ecotossicologia e degli impatti della chimica nella manifattura e nel consumo dei tessili. In precedenza direttore tecnico del Centro Tessile Serico, laboratorio prove accreditato e di marcatura CE. Dal 2012 si occupa di sostenibilità e circolarità nel mondo del tessile-abbigliamento, misurazione e rendicontazione di sostenibilità, progetti di innovazione. Autore di articoli scientifici e docente in vari corsi post-diploma sui temi delle certificazioni, chemical management e sviluppo sostenibile.
DAILYMOOD.IT: Buongiorno e grazie per l’intervista. Puo’ parlarci un pò di Lei e del suo lavoro?
Negli ultimi tredici anni il mio lavoro si è focalizzato sulle attività di supporto tecnico-scientifico, sia per le aziende private sia per gli enti pubblici e le istituzioni, sul comprendere gli impatti della chimica nel tessile, misurandone gli effetti e implementando pratiche di sviluppo sostenibile e circolare. Quando si parla di sostenibilità e sempre più spesso di circolarità nel tessile, si pensa quasi esclusivamente alle imprese, a chi produce e vende gli articoli che indossiamo. Tuttavia senza un impegno delle istituzioni e degli enti pubblici, senza una consapevolezza del consumatore, i soli impegni delle aziende rischiano di vanificarsi, di essere solo un extra-costo prima che un risultato in termini di riduzione delle emissioni ambientali o di salubrità del vestiario o di equo trattamento dei lavoratori.
DAILYMOOD.IT: Un tessile sostenibile è possibile? Cosa significa oggi tingere e fare delle innovazioni sui tessili sostenibili?
Tutto si trasforma nulla si distrugge, quindi anche per la moda è possibile una trasformazione. Il modo di produrre, consumare ed indossare deve cambiare e cambierà necessariamente. Il modello attuale di produzione e consumo è lo stesso degli ultimi centocinquant’anni, non è più sostenibile per questioni ambientali ma non lo è anche dal punto di vista economico. Negli ultimi vent’anni a salvare un modello capitalista quasi ottocentesco su cui poggia l’industria tessile è arrivata la Cina, con bassi costi e regole zero sul piano ambientale e sociale; sfortunatamente, anche complici stravolgimenti geopolitici (Covid, conflitti bellici, schermaglie sui dazi) il gioco è durato poco ed ora tocca reinventarsi.Nessuno oggi sa veramente quale sia la roadmap per la trasformazione del tessile. Dal mio punto di vista è certo che un sistema tanto complesso (l’articolo tessile più semplice può avere una filiera di dieci aziende), tanto globalizzato (lo è sempre stato), per trasformarsi non può fare a meno di creare sinergie fra l’industria, il consumatore e gli enti pubblici (quelli che avrebbero dovuto già implementare i sistemi di raccolta e di smistamento per il riciclo dei vestiti usati, ad esempio). La sola trasformazione tecnologica non è sufficiente e non basta. Oggi abbiamo tecnologie di produzione tessile con impatti ridotti, soluzioni di riciclo efficienti per recuperare quantità importanti di materiali tessili, ma i costi per utilizzare queste tecnologie da parte dell’industria sono elevati e buona parte del costo dipende da fattori esterni all’industria; un esempio ? Guardiamo al recente fallimento della ReNewcell, azienda svedese leader nel riciclo del cotone, seppur finanziata da importanti brand non ha retto la competizione con il poliestere, più economico, più versatile per una moda veloce, e facilmente piazzabile sul mercato.
DAILYMOOD.IT: Spesso chi usa la moda “fast” dimentica il costo in danneggiamento ambientale, su animali ed esseri umani. Ma è il danno alla cute a preoccupare di più. Esistono delle certificazioni obbligatorie in proposito?
Le certificazioni non sono obbligatorie. Obbligatorie sono il rispetto dei Regolamenti, che impongono il non uso delle sostanze più pericolose e limitano l’uso di quelle preoccupanti per la salute e per l’ambiente. Negli ultimi tre anni ho partecipato a due studi finalizzati a identificare le sostanze pericolose negli articoli tessili, uno finanziato dalla Commissione Europea, l’altro dal Ministero della Salute italiano. In entrambe i casi abbiamo trovato che più del 15% degli articoli tessili, acquistati sul mercato sia fisico che online, contenevano sostanze vietate in Europa, spesso oltre i limiti di Legge; il 95% degli articoli positivi ai test erano di produzione extraUE.
Penso comunque che anche la logica delle green label dovrà cambiare perché non rappresentano più una tutela per il consumatore, e non sono più nemmeno una garanzia per le aziende manifatturiere, come dimostrano gli scandali del cotone biologico, quelli sullo sfruttamento dei lavoratori (non solo in Cina – sic), o l’alta positività alle sostanze pericolose nei capi d’abbigliamento.
DAILYMOOD.IT: La moda sostenibile significa anche articoli realizzati con tessuti prodotti senza un grande consumo di energia o acqua. Ma è vero?
No, ritengo che questa associazione sia dovuta ad una comunicazione al pubblico troppo leggera. La sostenibilità è molto più complessa e per un sistema complesso come quello tessile lo è ancora di più. Certo che l’acqua è un bene prezioso e va risparmiata, certamente un alto consumo d’energia oggi, con l’80% prodotta dalla combustione di fonti fossili comporta emissioni di gas effetto serra, ma la sostenibilità nel tessile dovrà puntare contemporaneamente su altri fattori d’impatto che riguardino non solo le materie prime e la loro trasformazione, dovrà integrare la circolarità nei suoi processi, ma anche migliorare l’impatto sociale e le buone pratiche di governance.
DAILYMOOD.IT: Secondo lei gli esseri umani soffriranno a causa del modo in cui il materiale è stato prodotto o tinto nei prossimi anni?
Il modello europeo di tutela della salute e dell’ambiente, che sta progressivamente eliminando nel mercato interno le sostanze più pericolose, nel medio e lungo termine darà maggiori tutele sia ai consumatori che alle aziende. Essendo però il tessile un mercato globale anche gli altri grandi produttori, soprattutto asiatici, dovranno conformarsi; in parte ma molto lentamente lo stanno già facendo.
DAILYMOOD.IT: In un mondo perfetto il vero mood dovrebbe essere un abbigliamento sostenibile e una moda senza fast fashion. Ci arriveremo?
Penso ad un mood per cui l’indumento sia anzitutto parte del nostro modo di essere piuttosto che dell’apparire. Già questo ridurrebbe di molto i consumi e di conseguenza gli sprechi e gli impatti della produzione. Penso ad un mondo in cui il fast fashion torni ad essere una piccola porzione del mercato, e dove gli articoli più curati, durevoli e riparabili tornino ad essere l’acquisto principale nelle scelte del consumatore.
DAILYMOOD.IT: L’ abbigliamento è diventato un prodotto di massa anche nei materiali utilizzati che non sono destinati a durare. Secondo lei perchè?
Da un lato i produttori di filati economici, dall’altro i brand che creano tendenze e stagioni per restare competitivi e contemporaneamente comprimono i prezzi, e poi sicuramente un benessere economico che si è allargato a due miliardi di persone nel mondo. La maggior offerta i bassi costi e le tendenze della moda sono state lucciole anche per europei e americani, che nel giro di vent’anni hanno raddoppiato o triplicato i consumi. E’ un fenomeno culturale che non si può risolvere semplicemente imponendo tasse, dazi, o costringendo le aziende a fare abiti usando fibre riciclate. Siamo arrivati ad un punto che o si rimette in discussione il modello di business, di comunicazione della moda e di consumo, oppure fra vent’anni saremo ancora qui a discutere se sia più sostenibile il cotone o il poliestere.
DAILYMOOD.IT: Quando finiscono nelle discariche?
I dati degli studi più ottimistici parlano del 70% degli indumenti che finisce in una discarica, che sia in Europa o Nord America o sia in Asia o nel sud del mondo. Difficile fare stime ma nelle montagne di rifiuti tessili una discreta percentuale sono indumenti nuovi, mai usati; sta qui il primo problema che dovremmo risolvere. Perché anche in un mondo perfetto, il 100% del tessile non sarebbe comunque riciclabile. Una bella tovaglia in cotone, dopo un orgoglioso servizio di anni, dopo che è stata lavata candeggiata e stirata per centinaia di volte, è inutilizzabile per fare altri filati. Però se è compostabile (se può diventare terreno organico) può andare in discariche apposite, oppure nel peggiore dei casi usata per generare energia.
DAILYMOOD.IT: Concludendo, il vintage ed i prodotto riciclati possono rappresentare un futuro possibile?
Il futuro del tessile non è scritto ma sarà sicuramente un mix di soluzioni. Il riuso (che sia noleggio o il secondhand) ed il riciclo (nelle sue diverse forme) potranno essere tendenze “alla moda” che daranno un importante contributo alla sostenibilità, ma non rappresenteranno le uniche soluzioni. D’altronde vent’anni fa le auto le noleggiavi solo all’aeroporto o se ti dovevi sposare, oggi conosco persone che non posseggono un’auto e la noleggiano solo quando gli serve.
di Cristina T. Chiochia per DailyMood.it
L’articolo Intervista a Marco Più: il tessile sostenibile che porta la moda nel futuro proviene da Daily Mood.