E poi, a un certo punto, nel quarto episodio di Black Rabbit, la nuova serie Netflix, arriva il palazzo di Physical Graffiti, quello raffigurato sulla copertina dello storico album dei Led Zeppelin. Prima lo vediamo da vicino, poi uno stacco di montaggio ci porta proprio a un totale e ci troviamo la copertina davanti agli occhi. Poco dopo Vince dice al fratello Jake che è vestito alla Nick Cave. In un altro dialogo, a proposito di un locale, si era parlato di un’atmosfera da Beggars Banquet, storico album dei Rolling Stones. Ma perché vi diciamo tutto questo? Perché Black Rabbit, in arrivo in streaming il 18 settembre, è una classica storia di fratelli problematici come ne abbiamo viste tante. Ma ha in più un piglio rock. I due fratelli, che oggi si dedicano a un locale molto in voga a New York, una volta avevano una band. Si chiamavano proprio i Black Rabbit, come il locale che ora gestisce Jake. Quella band è un rimpianto, ed è qualcosa che unisce i due fratelli già legati – ma anche divisi – da molte altre cose. E il rock, insieme a New York, contribuisce a dare una caratterizzazione particolare alla storia.
Un locale di New York, il Black Rabbit, pare andare alla grande. In realtà non è così, ma lo scopriremo dopo. Che cos’è il Black Rabbit? Un ristorante, ma non solo. Una casa, un luogo di incontro, e il miglior hamburger di New York. Ma questa è una serata speciale. Jake (Jude Law) fa un discorso di ringraziamento, e chiama tutti gli astanti a un brindisi. Ma, all’improvviso, due tipi in passamontagna irrompono nel locale per una rapina. Che cosa sta accadendo? La storia torna indietro a un mese prima di quella serata. E, piano piano, cominciamo a capire tutto.
Da Caino e Abele fino alla serie tv Bloodline, passando per le tragedie di Shakespeare e il cartoon Il Re Leone e altri film come Onora il padre e la madre, le storie di fratelli divisi e conflittuali sono spesso al centro di opere intense. La storia del fratello perduto che ritorna, della pecora nera, del reietto dall’anima oscura che trascina nel buio tutta la famiglia, o ciò che ne resta, è proprio al centro di una delle serie migliori degli ultimi anni, Bloodline. Black Rabbit, insomma, non è una storia nuova. Ma a renderla affascinante è il modo in cui è raccontata, l’atmosfera, gli attori.
Il protagonista è Jude Law nei panni di Jake, gestore del Black Rabbit. Dopo averlo visto imbruttito per impersonare Putin ne Il Mago del Cremlino, qui lo vediamo al massimo del suo fascino. I capelli impomatati, pettinati all’indietro e buttati da un lato, il sorriso accattivante. Quegli abiti grigi o neri portati sopra una canotta bianca, con alcune collane e catene in bella vista sul petto, lo rendono affascinante, a metà tra una rockstar e un gangster. Jude Law porta sulle spalle gran parte del peso di Black Rabbit, attraversa la storia con uno spleen particolare, attira lo sguardo su di sé e in questo modo catalizza l’attenzione sulla storia. Non è un cavaliere senza macchia e senza paura, ma piuttosto un cavaliere nero, con i suoi lati oscuri e le sue colpe.
Le altre spalle su cui poggia Black Rabbit sono quelle di Jason Bateman, il fratello sfortunato, quello dedito ai vizi, il dannato. Bateman ci porta dentro al film e alla sua storia grazie a un look creato ad arte. I capelli lunghi, unti, incolti, la barba lunga e poco curata, lo sguardo dimesso e dolente. Non era scontato che un attore come Bateman riuscisse a dare vita a un personaggio così efficace. Pensiamo un attimo a una storia simile, come Bloodline. Lì il fratello dannato era interpretato da Ben Mendelsohn, un volto da natural born villain, perfetto per la parte. In Onora il padre e la madre il fratello più problematico era un certo Philip Seymour Hoffman, volto lascivo e particolarissimo. Bateman ha la faccia del bravo ragazzo, del personaggio positivo. Per cui la sua trasformazione è ancora più interessante.
È per queste ragioni che Black Rabbit è una serie che si lascia vedere molto volentieri. Due attori in parte (e alcuni comprimari che fanno il loro dovere), una città come New York che, ogni volta che è in scena, non può che diventare un vero e proprio personaggio della storia, il rock. E una storia che scorre bene, con storyline che sembrano finire e invece ricominciano, personaggi che sembrano secondari e invece diventano ruoli chiave, altri che entrano ed escono dall’ombra ogni volta che la storia ha bisogno di svoltare. E poi c’è quell’episodio 6 in cui si moltiplicano in punti di vista, con vari capitoli che ci raccontano i vari personaggi, come in un film di Tarantino. It’s the same old story. Black Rabbit è la solita vecchia storia. È stata già raccontata. Ma è raccontata molto bene.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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