Anno 2120. Siamo nell’astronave Maginot, nello spazio profondo. All’interno della nave, contraddistinta dai classici spazi chiari, moderni eppure in qualche modo sporchi, un equipaggio si è appena svegliato dal criosonno e conversa attorno a un tavolo. Ma alcune presenze inaspettate stanno arrivando. Sembra l’inizio di un classico film di Alien. In parte lo è, in parte è qualcosa di completamente nuovo. È la sorprendente serie tv Alien: Pianeta Terra, una produzione FX nata dalla mente del vincitore dell’Emmy Award Noah Hawley, in arrivo in Italia su Disney+ mercoledì 13 agosto con i primi due degli otto episodi disponibili, seguiti da uno a settimana ogni mercoledì. È la serie che non ti aspetti. Riesce a ricreare la tensione e la paura dei classici film di Alien, ma, contemporaneamente, porta la storia da un’altra parte. E, soprattutto, è puro cinema. Abbiamo incontrato il produttore e gli attori nella conferenza stampa di lancio in streaming e ci hanno raccontato il loro punto di vista su una serie da non perdere.
Noah Hawley: “La fantascienza deve parlare dei nostri problemi”
Nel 2120 la Terra è governata da cinque compagnie: Prodigy, Weyland-Yutani, Lynch, Dynamic e Threshold. In questa Era Corporativa, i cyborg (esseri umani con parti sia biologiche che artificiali) e i sintetici (robot umanoidi con intelligenza artificiale) convivono con gli esseri umani. Ma le regole del gioco cambiano quando il giovane prodigio Fondatore e CEO della Prodigy Corporation, Boy Kavalier, svela un nuovo progresso tecnologico: gli ibridi (robot umanoidi con coscienza umana). Come si può capire, il mito di Alien è un modo per affrontare discorsi più complessi. “La mia ambizione è sempre stata quella che questo genere fosse qualcosa di più che intrattenimento” ci ha raccontato Noah Hawley. “Credo che la fantascienza abbia la responsabilità di parlare dei problemi che stiamo affrontando e di provare a immaginare un futuro in cui possiamo risolverli”.
Noah Hawley: “Ho lasciato fuori i mostri per un attimo per creare un dramma umano”
Alien: Pianeta Terra cambia anche lo schema narrativo dei classici di Alien. Gli esseri artificiali sono sempre stati una parte importante di quel mondo. Dal primo, a sorpresa, di Ian Holm, a quello dichiarato di Michael Fassbender in Prometeus e Alien: Covenant. Qui questo tipo di essere assurge a protagonista, e riempie quasi la metà del racconto, se non di più. Ma Alien: Pianeta Terra introduce un nuovo tipo di essere artificiale. È qualcuno con un’anima umana. E questo cambia completamente le regole del gioco. “Un film di Alien è due ore di storia di sopravvivenza” spiega Noah Hawley. “Uno show televisivo è un’altra cosa, ha una forma più lunga in cui devi investire in dei personaggi che non muoiano, in modo che possa esplorare questi personaggi e i temi del franchise di Alien. La mia sfida è stata lasciare fuori i mostri per un attimo e pensare a quale fosse lo show, dove fosse il dramma. Dovevamo creare un dramma umano per esplorare i problemi del mondo in cui viviamo, ma proiettato nel futuro”.
Sydney Chandler: “Per Wendy la mente è conosciuta, il corpo no”
Così, la protagonista di Alien: Pianeta Terra è proprio una di questi esseri ibridi. Un’anima umana in un corpo sintetico. La mente di una bambina in un corpo di una giovane donna. Il primo prototipo di ibrido si chiama Wendy e segna una nuova alba nella corsa verso l’immortalità. Dopo che l’astronave della compagnia Weyland-Yutani si schianta su Prodigy City, Wendy e gli altri ibridi affrontano misteriose forme di vita, più terrificanti di quanto chiunque avrebbe mai potuto immaginare. Wendy è Sydney Chandler. Guardate il momento in cui prende vita. I suoi occhi che si aprono come in Avatar. Sydney Chandler è bravissima. Riesce a rendere l’idea di un corpo artificiale, della testa di una bambina e a mescolare tutto. Della bambina ha quell’espressione candida, serena, attonita del volto. Dell’essere meccanico ha una certa rigidità del corpo. Sydney Chandler, con il suo essere una donna bambina, è perfetta per quel ruolo. Come era stata perfetta nei panni di Chrissie Hynde in Pistols, la serie sui Sex Pistols di Danny Boyle. Gli occhi a mandorla allungati eppure enormi, tra il verde e il nocciola, la bocca a cuore, il sorriso disarmante e innocente, la rendono perfetta per il ruolo. “Wendy è una pagina completamente bianca. Non puoi fare una ricerca su un essere ibrido. Credo che Noah sia stato bravo a creare un personaggio molto stratificato e concreto” ci ha raccontato l’attrice. “Ho bilanciato i due aspetti, quello della bambina e dell’adulta, a seconda di chi mi trovavo di fronte mentre recitavo. Ogni attore porta un colore differente a questo lavoro, e questo mi dava più informazioni su chi stessi interpretando. Avevo in mente l’immagine di due magneti che spingono in due direzioni opposte, e che tu non potessi farli incontrare perché la mente è conosciuta mentre il corpo è un territorio sconosciuto. È come se lei stesse cercando cosa ci fosse in mezzo”.
Sydney Chandler: “La Tailandia, un paesaggio simile ai nostri personaggi”
Il personaggio di Wendy è una vera novità nel mondo di Alien. Ci sono state varie donne guerriere nella saga Alien, dall’archetipo Ripley di Sigourney Weaver in poi. Ma, fino ad oggi, l’eroina non era mai stata un essere artificiale. Per questo il personaggio di Wendy è una vera novità della saga. Sydney Chandler ci ha raccontato anche che cosa è stato girare in Tailandia. “È stato importante per il legame che abbiamo instaurato e per l’arrivo in un nuovo paesaggio, molto simile ai nostri personaggi: in questo modo i legami si sono stretti molto rapidamente. Quanto alla cultura, non ho mai visto persone così gentili, così divertenti, così calde”.
Noah Hawley: “Gli scrittori di fantascienza progettano il nostro futuro”
La Wendy di Sydney Chandler è un punto di rottura nella saga di Alien. È un nuovo modo di pensare l’essere artificiale. Non è un essere completamente sintetico. Non è un cyborg, in parte umano in parte meccanico. È un ibrido, un essere sintetico con l’anima umana. Non è un’intelligenza artificiale, ma reale. È il tentativo dell’uno per fermare la morte. La nuova serie di Alien sembra volerci dire qualcosa sul nostro futuro. “Se chiedi a chi ha inventato la tecnologia che usiamo oggi ti dirà che è stato influenzato dalla fantascienza, che al liceo era un nerd appassionato dalla sci-fi” ci spiega il produttore. “Il lavoro degli scrittori di fantascienza è progettare il futuro che potremo poi realizzare nel tempo. Viviamo delle fasi per cui le storie possono avere possono essere distopiche o più cariche di speranza. C’è 2001: Odissea nello spazio e poi c’è Star Wars e poi c’è Alien: in Star Wars guardi verso l’alto, in Alien verso il basso. La mia responsabilità nel portare Alien sul piccolo schermo è stata quella di creare una visione del futuro. Di porre domande su che cosa è umano e se l’umanità può sopravvivere ai suoi peccati. Magari possono portare un po’ di ottimismo al mondo”.
Il nuovo Alien è anche il mondo di Peter Pan…
Guardando Alien: Pianeta Terra, e pensando ai nomi, vi verrà in mente qualcosa. Il mondo dove la Prodigy crea i suoi nuovi esseri si chiama Neverland. Un mondo che da noi è noto come l’Isola che non c’è. La protagonista si chiama Wendy. E gli altri esseri come lei sono visti come i Lost Boys, i ragazzi perduti. E, a questo punto, forse avremo anche il nostro Peter Pan. Un Peter Pan moderno ispirato a dei personaggi di oggi. “L’idea di Alien è che tutti i personaggi siano in balia di queste corporation senza nome e senza volto” ragiona il produttore. “Nella nostra era le corporation hanno un volto, quello di giovani tecnocrati, che sono CEO famosi e miliardari. L’idea del capitalismo degli anni Settanta non sarebbe stata adatta al mondo in cui viviamo oggi. Una volta che l’analogia con Peter Pan emerge nel racconto diventa chiaro che il CEO di questa tecnologia ibrida diventerà lui stesso Peter Pan”.
Samuel Blenkin: “I film di Alien: più facile farli che vederli”
Il Peter Pan di cui di parla è interpretato dal giovane e bravissimo Samuel Blenkin. Il suo personaggio, Boy Kavalier, è molto particolare. Gira per i laboratori della sua corporation libero e… a piedi nudi. “Non mi prenderei l’intero merito dell’idea” ha spiegato l’attore. “È stata una collaborazione tra me, Noah e la nostra sorprendente costumista, Suttirat Larlarb. C’è stato un momento che pensavamo che questo ragazzo dovesse indossare un pigiama, e l’idea dei piedi nudi è rimasta da quella prima impostazione. E anche qui i riferimenti a Peter Pan erano molto forti”. Blenkin è completamente a suo agio sul set, molto meno nel guardare i film della saga. “Ho visto Alien prima volta quando avevo 13 anni” ci ha confessato. “Ma non riesco più a guardare questo tipo di film: è più facile farli che vederli”.
Alien: sentire la paura quando è in scena, ma anche quando non c’è
Come avrete capito, in questa storia l’alieno non è un protagonista assoluto, ma è un coprotagonista. È un essere extraterrestre. Ma non è quello dei film di Ridley Scott e dei suoi seguiti. È diverso. È di un’altra specie. È felino, si muove come una pantera: scatta, guizza, salta, attacca. Nasce da altri esseri rispetto a quelli che conoscevamo, simili a insetti. È ancora più letale. È un ottimo modo per riprendere il mito di Alien e rinnovarlo. “Il mio compito era di rendere l’esperienza emotiva di vedere Alien, ma in un nuovo modo di fruirla, in uno show tv” spiega Noah Hawley. “Poi uno dei punti critici era scoprire il ciclo vitale degli alieni. Si tratta di quattro mostri in uno e a ogni passaggio diventa peggiore del precedente. Degli Alien precedenti, dopo sette film, sapevamo tutto. Ma se introduco delle nuove creature e tu non sai come si riproducono e cosa mangiano, senti quella paura ogni volta che sono sullo schermo, o anche quando non sono visibili, ma sai che sono lì fuori, perché non sei mai sicuro di quello che accadrà. Sono orgoglioso di essere riuscito a dare agli attori l’esperienza reale: sapevano contro chi stavano reagendo, che cosa erano le creature. E hanno restituito al pubblico l’emozione che si ha guardando Alien”.
Ci meritiamo di sopravvivere?
Alien: Pianeta Terra è sempre Alien, ma in un modo nuovo. E non era affatto facile. “L’idea al centro di Alien è che l’uomo sia intrappolato tra natura e tecnologia, ed entrambi stiano cercando di ucciderci” racconta il produttore. “Nei film di Alien la domanda è se quei due o tre esseri umani sopravvivranno; in questo show televisivo la domanda è se l’umanità stessa sopravvivrà. Il che porta alla grande domanda: ci meritiamo di sopravvivere? È la cosa migliore di esplorare questo tema è guardare la storia dagli occhi di un bambino, perché non sanno dire le bugie”.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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