“Apprezzi gli attori?” “A patto che non recitino”. È un dialogo tra Jean Seberg e Jean-Luc Godard che sentiamo a un certo punto di Nouvelle Vague, il nuovo film di uno dei grandi cineasti americani contemporanei, Richard Linklater (Prima dell’alba, Boyhood, School Of Rock). Presentato al festival di Cannes, e ora alla Festa del Cinema di Roma, Nouvelle Vague sarà nelle sale italiane nei primi mesi del 2026, ed è uno di quei film da non perdere. Nouvelle Vague, ricostruisce la storia di Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle) di Jean-Luc Godard, il film che ha fatto nascere il movimento che dà il titolo al film. Linklater mette in scena i protagonisti di quella rivoluzione artistica: Truffaut, Chabrol e ovviamente Godard, che aveva lasciato la redazione dei Cahiers, dove era un noto critico cinematografico, per girare il suo primo film. Perché “il modo migliore per criticare un film è realizzarlo”. Quel film avrebbe cambiato la storia del cinema e reso iconici due attori come Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo, qui interpretati da Zoey Deutch e Aubry Dullin, mentre Guillame Marbeck è Godard. Il film racconta il metodo tutto nuovo di lavorare di Godard, le sue citazioni letterarie, i suoi “furti” ad altri registi, i suoi appunti scritti a mano. Noi sappiamo che il film sarebbe diventato un capolavoro: ma allora, sul set, non c’era alcuna certezza. E il film di Linklater riesce a farci sentire il senso di ribellione e di sovvertimento delle regole.
Sì, il film Fino all’ultimo respiro lo conosciamo. Ma proprio per questo, viaggiare dietro le quinte del progetto, immergersi nella sua lavorazione è qualcosa di meraviglioso. A partire dalla “benedizione” che il nostro Roberto Rossellini, “padre” della Nouvelle Vague fa a questi giovani artisti “il cinema è una questione morale: non c’è una tecnica per catturare la realtà. Solo la morale può riuscirci”. Secondo Rossellini chiunque può fare un film. E secondo gli esponenti della Nouvelle Vague si può fare un film su qualsiasi cosa, non solo sulle grandi storie. E si può girare ovunque.
Quella di Jean-Luc Godard è una rivoluzione. Il neoregista sceglie una macchina da presa leggera, che veniva usata per le riprese di guerra, in modo che permetta di fare qualsiasi cosa, di seguire gli attori ovunque, lungo le strade, in piccole stanze d’albergo e in minuscoli appartamenti. La Nouvelle Vague è libertà, è andare oltre i piani prestabiliti, è riprendere lontano dai set e senza luci. È non fare più di due riprese per ogni scena e, magari, finire la giornata di lavoro a ora di pranzo, perché quasi sempre è “buona la prima” o la seconda.
Richard Linklater ci riporta indietro nel tempo. Gira un film sulla Nouvelle Vague, su uno dei film capostipiti di questa corrente, e lo fa con i codici e lo stile del tempo. Il bianco e nero, la fotografia luminosa, il formato quadrato, in 4:3. È un’operazione filologica e coerente. Il risultato è un film sincero, onesto, appassionato. Che ha la freschezza e la potenza dei film dell’epoca, pur essendo, ovviamente, molto più costruito e studiato. Riesce a cogliere lo spirito di quel tempo e di quei film e a tradurlo perfettamente per immagini. È un film colto, cinefilo, metacinematografico, ma, attenzione, anche irresistibilmente divertente. Si vede che, dal regista agli attori a tutta la troupe, c’è una vera passione per il cinema e per la storia che stanno raccontando. Ma Linklater è riuscito a infondere tutto il set, e quindi tutto il film, di quel senso di libertà e leggerezza che Godard, e il suo Fino all’ultimo respiro, volevano trasmettere.
Il film verrà distribuito da Lucky Red e BIM all’inizio del 2026, e speriamo che al cinema vadano a vederlo in tanti. Perché è sì un film per cinefili, ma non solo. Perché la Nouvelle Vague, Godard e Fino all’ultimo respiro, hanno creato delle vere e proprie icone. La Jean Seberg che, nel 1959 portava i capelli corti, pettinati da un lato, è diventata immediatamente un simbolo senza tempo, e ha un look che ancora oggi è attualissimo. Così come i suoi abiti, come quello da sera, con il corpetto a righe orizzontali e la gonna ampia sotto il ginocchio. Le maglie a righe orizzontali, le gonne, i mocassini indossati sopra i calzini bianchi. E poi c’è lui, Jean-Luc Godard, con le sue giacche avvitate e i pantaloni stretti, a volte indossati con maglie semplici a volta con la camicia e la cravatta stretta. E gli immancabili occhiali da sole neri. La Nouvelle Vague è anche un’infinita miniera di stili. E con il suo film Linklater li rilancia.
Nouvelle Vague è un atto d’amore verso il cinema, se non fosse che è un’espressione scontata, e Godard la odierebbe. È una celebrazione di un certo di cinema indipendente, libero, spontaneo. Vedere una storia scritta e prodotta in Francia e girata, in un modo che migliore non potremmo immaginare, da un americano come Linklater, ci fa capire da dove venga il suo cinema. Abbiamo sempre detto che ci fosse molto Rohmer, e i suoi dialoghi filosofici sulla vita. Ma c’è anche tanto Godard. Le lunghe camminate, la macchina da presa libera di muoversi e seguire i protagonisti, gli attori che in qualche modo non sono solo i personaggi, ma mettono in scena anche un bel po’ di se stessi. Sapete quali sono gli effetti che un film come Nouvelle Vague avrà su di voi? Vi metterà una grande voglia ndarvi a rivedere il film una seconda volta, prima di tutto, per coglierne al meglio tutti i particolari. Di andarvi a rivedere i film di Godard e quelli di Truffaut. E poi di andarvi a rivedere i migliori film di Linklater, che guarderete con occhi diversi. E di esclamare: viva il cinema!
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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