Una giovane coppia sta viaggiando di notte in macchina. A un certo punto, decidono di fermarsi al lato di una strada, in un luogo isolato, per appartarsi e fare l’amore. Lei ha sentito le notizie che girano, ed è un po’ titubante. Ma lo fanno comunque. Ma, subito, spunta dal nulla un’ombra buia, un uomo con un lungo cappotto nero che a passi veloci si dirige verso la loro macchina. Come andrà a finire potete immaginarlo. È la storia del Mostro di Firenze, e quella scena si è ripetuta e ripetuta molte volte, e lungo molti anni. Dopo l’anteprima alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Il Mostro, la serie tv in quattro episodi diretta da Stefano Sollima e creata da Leonardo Fasoli e Stefano Sollima, è disponibile da mercoledì 22 ottobre, solo su Netflix.
Otto duplici omicidi. Diciassette anni di terrore. Sempre la stessa arma: una beretta calibro 22. Una delle più lunghe e complesse indagini italiane sul primo e più brutale serial killer della storia del Paese: il Mostro di Firenze. Questa storia è stata ricostruita sulla base dei procedimenti e delle indagini ancora in corso. In una storia dove i mostri possibili, nel corso del tempo e delle indagini, sono stati molti, il nostro racconto esplora proprio loro, i possibili mostri, dal loro punto di vista. Perché il mostro, alla fine, potrebbe essere chiunque.
La serie di Stefano Sollima, inizia in medias res, quando il caso del “Mostro” è aperto già da diversi anni. Quello a cui abbiamo appena assistito, infatti, è già l’assassinio delle vittime numero 7 e numero 8 del serial killer. Con il filo narrativo di una magistratura che, dopo anni, non ha ancora niente e decide di riaprire i casi passati, anche quelli che sembrano risolti, Il Mostro spiazza, riavvolge il nastro, viaggia a ritroso, andando a cercare i germi di questa storia incredibile molto, molto lontano. Molto prima dei tristemente noti Pacciani e Vanni, la storia va alla ricerca di Stefano Mele, un nome misconosciuto, che le cronache della nostra epoca non hanno riportato. E che, a quanto pare, ha visto l’inizio di tutto. Assolutamente vietato svelare di più: Il Mostro è una serie che va scoperta passo dopo passo, indizio dopo indizio, come se davvero si stesse partecipando a un’indagine delicata e complessa.
È questo che ha voluto fare Stefano Sollima. “L’orrore, per essere davvero raccontato, va attraversato, non aggirato. E la storia, per arrivare con chiarezza, senza sposare una tesi, deve cominciare dall’inizio. Riportare con onestà, con rispetto e con rigore deve ancora avere un senso. Non per risolvere, non per capire, ma solo per ricordare. Un modo per restare accanto a chi è rimasto lì, per sempre nella notte”. La sua idea di racconto del Mostro è questa. Un lavoro certosino di studio degli atti processuali, poi di sceneggiatura, e infine di produzione e messinscena.
Stefano Sollima è considerato l’erede del nostro cinema di genere anni Settanta, il cinema d’azione, il poliziottesco. Un autore di un cinema potente, muscolare, duro. Suburra, il film, e ACAB, parlano chiaro. Già nel suo ultimo film, Adagio, però, ha cominciato a usare toni più crepuscolari, più riflessivi. Il Mostro, in questo senso, sorprende ancora di più. È un film a suo modo sommesso, ipnotico. E comunque dipinto con il senso pittorico che Sollima ha in sé e che negli ultimi tempi è sempre più evidente.
Guardate la sequenza d’apertura, quella dell’assassinio e del successivo ritrovamento delle vittime. Sembra di essere in un horror americano. La figura nera che si staglia sull’orizzonte, che esce dall’ombra ed è a sua volta ombra, con quel lungo soprabito nero, la velocità e l’inesorabilità con cui si avvicina, è da film horror. E poi quegli ambienti, dai colori oscuri e allo stesso tempo vividi, cinematografici. Il verde dei prati, il blu scuro del cielo, la luce dei lampeggianti delle volanti e delle ambulanze che colorano quel mondo di bagliori sinistri. Sono immagini che abbiamo visto in tanti film, e che qui tornano per un attimo. Per poi lasciare spazio ai colori più monotoni e bruni degli interni: gli uffici della magistratura, le celle delle carceri, le povere dimore dei braccianti in cui si consuma il dramma che è solo l’inizio della tragedia.
In più c’è una chiave di cui tener conto, che non era mai stata riportata dalla narrazione giornalistica sul Mostro in tutti gli anni di cronaca. Si è sempre parlato di delitti contro le coppie. Ma il sostituto procuratore che istituisce il caso fa notare che l’accanimento è sempre contro le donne. Quelli del mostro sono prima di tutto crimini contro le donne, contro il genere femminile. Ed è in questo senso che si può capire la modernità di una storia che parte da molto, molto lontano.
Quello che viene fuori dal racconto, man mano che procede, è ritratto di un’Italia d’altri tempi, patriarcale e arretrata, dove è radicato quel retaggio maschilista che da tante parti troviamo ancora oggi e che è duro a morire. Così vediamo uomini che si fanno portare le spose a forza, che concedono le loro compagne ad altri uomini senza chiedere il loro consenso, come se fosse oggetti. Maschi capibranco ed altri remissivi, deboli con i forti e forti con i deboli. Il Mostro, così, diventa un trattato antropologico di un’Italia che è stata e che purtroppo c’è ancora, una storia di violenze e soprusi. Una storia di uomini che odiano le donne.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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