Un confronto creativo e stimolante tra due titani della moda: Azzedine Alaïa e Thierry Mugler. I due stilisti hanno reinventato il corpo come architettura e teatro. Nel cuore del Marais, la Fondazione Azzedine Alaïa ospita una mostra che è più di una retrospettiva: è uno scambio visivo tra due figure che hanno riscritto i codici della silhouette femminile nel ventesimo secolo. L’esposizione intitolata Azzedine Alaïa – Thierry Mugler / 1980-1990, due decenni di complicità artistiche, visitabile fino al 31 agosto 2025, non è soltanto un omaggio a due couturier geniali, ma un’indagine sul potere della forma, della pelle, della costruzione, ci parla non solo di couture, ma di affinità elettive, di una solida amicizia e di una forte complicità artistica, ma anche umana. In un momento in cui la moda si interroga sul corpo, sulla sensualità e sull’identità, la mostra si rivela straordinariamente attuale. “Ci siamo profondamente influenzati a vicenda.”, ha affermato Thierry Mugler, in più occasioni, confermando il legame creativo ed umano con Alaïa.
“Da quando ci siamo conosciuti, i miei abiti sono diventati meno astratti e più in sintonia con la realtà; il corpo si muove con più agio. I suoi, invece, sono diventati più audaci. Credo che, grazie a me, Azzedine si sia sentito libero di avvicinarsi a tagli più ergonomici, più sinuosi.”, così parlava Mugler di Alaïa. Ed ancora: “Ho avuto un ruolo nel supportarlo all’inizio, anche amministrativamente, per aiutarlo a fondare ufficialmente la sua maison.” (Mugler, sul sostegno dato ad Alaïa nei primi anni dell’attività). Alaïa e Mugler si conoscono a Parigi negli Anni Settanta, in un contesto in cui la couture sembrava cedere il passo al ready-to-wear, ma entrambi resistono al tempo e alle mode effimere creando universi assolutamente personali. Da un lato Alaïa, il “sarto scultore”, devoto alla purezza della forma, alla modellatura sartoriale ottenuta quasi senza tagli visibili, alla sensualità del corpo rivelato e protetto. Dall’altro Mugler, il “regista della moda”, visionario e teatrale, capace di trasformare le passerelle in veri e propri palcoscenici in technicolor, dove il corpo femminile diventa un’eroina postmoderna tra fetish, glamour e fantascienza. Questa mostra non si limita ad accostare due nomi celebri. È un atto curatoriale preciso: mettere in dialogo due approcci opposti, ma complementari alla femminilità, alla costruzione del capo, alla relazione tra abito e identità. Curata da Olivier Saillard, la retrospettiva si sviluppa nei saloni della Fondazione con uno storytelling raffinato. I capi esposti – oltre sessanta, provenienti dagli archivi di entrambi gli stilisti – sono stati scelti per rispecchiare i punti di contatto e le divergenze più radicali tra i due. Non ci sono solo gli iconici bustier in maglia stretch di Alaïa o le tute in lattice e metallo di Mugler: compaiono creazioni sublimi che mostrano le sfumature, le fasi intermedie, gli esperimenti comuni. Mugler disse una volta che, dopo aver incontrato Alaïa, le sue creazioni divennero meno astratte e più concrete. Alaïa, a sua volta, osò linee più audaci, più sensuali. L’influenza era reciproca e magnetica, come afferma Saillard.
Entrando nella Fondazione ci si imbatte in un allestimento minimale, rispettoso della materia: manichini bianchi, luce diffusa, e un senso di intimità che permette di ammirare da vicino cuciture, pieghe, pesi, volumi. Non c’è sovrastruttura scenica: sono solo gli abiti a parlare. Ed è qui che l’occhio dell’addetto ai lavori coglie la portata dell’opera. Percorrere fisicamente lo spazio della mostra è stato essenziale per cogliere la stratificazione concettuale del progetto espositivo: un confronto tra estetiche che, pur divergendo nei codici formali, si rivelano sorprendentemente affini nella volontà di sublimare la materia in visione. Per chi vive la moda e ne ha fatto come noi una vocazione, una passione e un mestiere questa mostra è un manuale tridimensionale di tecnica sartoriale avanzata. Alaïa modellava direttamente sul corpo, come uno scultore con l’argilla: i suoi abiti non nascono su carta, ma in atelier, sulla pelle. I suoi jersey sono ingegneria tessile: si adattano, avvolgono, modellano senza costringere. I tagli sono invisibili, le cuciture minime, la perfezione sta nel togliere più che nell’aggiungere. Mugler, al contrario, esaspera la costruzione fino al parossismo. Le sue giacche sono armature sensuali, con spalle volutamente esagerate, pinces chirurgiche, tessuti sintetici, inserti in plastica o metallo. L’approccio è quasi ingegneristico, ma sempre con un occhio allo spettacolo. Un abito Mugler non si limita a vestire: trasforma chi lo indossa in un personaggio. L’accostamento dei due svela in maniera plastica due strade della costruzione sartoriale contemporanea: una organica, l’altra meccanica, ma entrambe straordinariamente umane, perché profondamente connesse all’idea di corpo, potere, espressione. Se Alaïa è stato il paladino di una sensualità materica e intellettuale, Mugler è stato il profeta del glamour estremo. Eppure, la mostra sottolinea quanto entrambi abbiano anticipato temi oggi centrali: body positivity, gender fluidity, ibridazione tra arte e moda, artigianato come resistenza culturale. Nelle nuove generazioni di designer – da Iris van Herpen a Casey Cadwallader, da Ludovic de Saint Sernin a Nensi Dojaka – si avverte l’eredità doppia di questi maestri: il rigore artigianale di Alaïa e la potenza visionaria di Mugler. La Fondazione Alaïa, con questa mostra, non solo custodisce un archivio, ma rilancia una visione: quella di una moda che non si limita a vestire, ma che pensa, scolpisce, plasma, racconta.
Esclusiva fotografica Daily Mood
di Elena Parmegiani per DailyMood.it
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L’articolo Alaïa e Mugler in dialogo alla Fondazione di Parigi proviene da Daily Mood.