“Non avrai altro stile all’infuori di me”. Una parafrasi audace, che riecheggia lo slogan di una delle campagne più provocatorie della storia della moda italiana – quella di Jesus Jeans firmata da Oliviero Toscani – ma che ben riassume lo spirito di un’epoca in cui la moda ha smesso di essere solo abito per diventare narrazione, linguaggio, visione. Alla Fondazione Magnani-Rocca, nell’elegante Villa dei Capolavori a Mamiano di Traversetolo, in provincia di Parma fino al 14 dicembre 2025, va in scena “Moda e pubblicità in Italia 1950-2000”, una mostra che esplora mezzo secolo di immagini, campagne, manifesti e spot che hanno definito l’identità del Made in Italy. Una vera e propria immersione nell’immaginario visivo nazionale, dove la moda incontra la comunicazione, il costume e la cultura popolare, tracciando una mappa estetica e antropologica della trasformazione italiana nel secondo Novecento.
L’esposizione, a cura di Dario Cimorelli, Eugenia Paulicelli e Stefano Roffi, raccoglie oltre trecento opere tra manifesti, riviste, fotografie, spot televisivi e materiali video, compresi oggetti cult come le figurine Fiorucci. Il percorso espositivo non segue una semplice cronologia, ma si muove tra temi e icone, svelando come la pubblicità abbia vestito il corpo dell’Italia e contribuito a creare un nuovo immaginario collettivo. Dagli esordi grafici degli Anni Cinquanta, ancora legati a un’estetica illustrata e artigianale, passando per la svolta televisiva del Carosello e l’irruzione delle tv commerciali, fino all’estetica edonista e spettacolare degli Anni Ottanta e Novanta, la moda si trasforma in storytelling visivo. Il brand diventa così narrazione, e lo stile, come suggerisce il titolo della mostra, assume valenze quasi religiose. Sfogliando visivamente le campagne esposte, si incontrano i grandi protagonisti della moda italiana: Armani, Versace, Benetton, Fiorucci, Dolce & Gabbana, Ferré, Gucci, Moschino, Fendi, solo per citarne alcuni. Ma è soprattutto il lavoro dei fotografi e degli illustratori a rivelare il cambio di passo nella comunicazione visiva: Giampaolo Barbieri, Giovanni Gastel, Alfa Castaldi, Maria Vittoria Backhaus, René Gruau, Franco Grignani, Antonio Lopez, Guido Crepax, e naturalmente l’irriverente e iconoclasta Oliviero Toscani. Con loro, l’immagine pubblicitaria smette di essere ancella del prodotto per diventare arte autonoma. Basta pensare all’impatto globale delle campagne Benetton firmate da Toscani: vere e proprie micce visive capaci di accendere dibattiti sociali, politici, estetici. Non è solo una storia di moda o di marchi, ma il racconto di un Paese che cambia pelle. La mostra restituisce lo specchio di un’Italia che si emancipa dal dopoguerra, osserva (e imita) l’America, inventa una propria “grammatica pubblicitaria” fatta di ironia, desiderio e sogno. Se gli Anni Cinquanta e Sessanta sono quelli del Carosello, della censura e della grafica elegante, il passaggio al colore, alla pubblicità televisiva, alla libertà formale degli Anni Settanta e Ottanta segna l’avvento di un linguaggio pop, ubiquo, profondamente connesso ai nuovi consumi. È in questo periodo che la moda italiana si impone nel mondo come simbolo di qualità, glamour e innovazione, grazie anche a una comunicazione integrata e visionaria. Non si vende più solo un abito, ma uno stile di vita, un’identità, un’emozione. Il corpo, sempre più al centro della comunicazione, si fa portatore di valori, tensioni e aspirazioni. Ed è in questa tensione tra arte, desiderio e cultura popolare che la mostra trova il suo fulcro. Un’intera sezione è dedicata agli spot televisivi, con materiali provenienti dall’Archivio Generale Audiovisivo della Pubblicità Italiana, grazie anche al contributo di Emmanuel Grossi, storico della pubblicità e direttore dell’Archivio. Dai caroselli Barilla con Mina, vestita da Piero Gherardi (costumista di Fellini), ai cortocircuiti visivi delle pubblicità Anni Novanta, la moda diventa anche “cinema breve”, esercizio di stile narrativo, provocazione culturale. Sono clip che non solo vendono, ma raccontano il tempo, riflettono i cambiamenti del gusto e dei costumi, anticipano tendenze. E in alcuni casi, fanno storia. A ospitare questo racconto visivo è la Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani-Rocca, uno dei luoghi più affascinanti e colti d’Italia. Qui convivono arte, paesaggio e architettura: capolavori di Monet, Renoir, Cézanne, Tiziano, Dürer, Van Dyck, Goya, e una straordinaria collezione di opere di Giorgio Morandi, accanto ad un giardino storico recentemente restaurato, che fonde giardino all’italiana, parco romantico e sperimentazioni paesaggistiche contemporanee. Una cornice fondamentale della nostra storia culturale. “Moda e pubblicità in Italia 1950-2000” non è una semplice esposizione, ma un vero laboratorio visivo. Un invito, per gli addetti ai lavori della moda, a riflettere su quanto il successo dell’industria fashion italiana sia stato costruito non solo da mani sapienti e stilisti visionari, ma anche da creativi dell’immagine, comunicatori, fotografi, illustratori. Da chi, in silenzio, ha cucito sul corpo dell’Italia un nuovo modo di raccontarsi. In tempi in cui la comunicazione visiva è di nuovo in piena trasformazione, questa mostra ci ricorda che ogni immagine di moda è anche un documento storico. E che dietro ogni campagna, ogni spot, ogni manifesto, c’è una visione del mondo. A volte condivisa, altre contestata, ma pur sempre potente.
di Elena Parmegiani per DailyMood.it
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