In occasione dell’ottantesimo anniversario di Balmain, Printemps New York ha inaugurato una raffinata mostra dedicata all’iconica casa di moda visitabile per tutto il mese di settembre. Per celebrare l’occasione le due realtà hanno organizzato un esclusivo party nel Boudoir americano dei grandi magazzini francesi. L’evento “One Night, Eight Decades” è stato presentato da Oliver Rousteing, direttore creativo di Balmain e ha visto la partecipazione di Iman Bowie, Jeremy Pope, Pom Klementieff, Deacon Phillipe, oltre ad amici del brand come Olivia Palermo e Tina Leung. Printemps New York è un innovativo concept retail che fonde armoniosamente moda, design, ospitalità e cultura in grado di offrire un’esperienza unica che cattura lo spirito della rinascita del Financial District, pur rimanendo fedele alle sue radici francesi. In un panorama della moda sempre più dominato dall’effimero e dal ricambio rapido, Balmain sceglie di marcare il tempo. La maison fondata da Pierre Balmain nel 1945 celebra l’ottantesimo dalla sua prima sfilata con una mostra che, pur non volendosi definire “retrospettiva”, aspira a restituire con rigore storico e teatralità la complessità della propria identità. Olivier Rousteing, alla guida creativa della maison da ben quindici anni, preferisce respingere infatti la definizione classica di retrospettiva. Lo scopo è più ambizioso: tessere un racconto visivo che non si limiti alla mera esposizione cronologica, ma che renda la maison un organismo dinamico, che evolve, ma rimane fedele ad alcuni elementi portanti. Curata da Julia Guillon, storica della moda e guardiana degli archivi Balmain, la mostra presenta trenta capi storici – dal primo dopoguerra fino ai giorni nostri – quaranta oggetti di archivio, bozzetti, fotografie, memorabilia, disposti in otto tableaux tematici. Ogni tableau è pensato per mettere in luce aspetti specifici: l’architettura stilistica del fondatore, l’ornamentazione, l’uso del dorato, la nascita e l’evoluzione del monogramma PB, le influenze transatlantiche, la sartorialità rigorosa, i volumi definitori delle spalle forti e delle silhouette couture.
Pierre Balmain emerge già dai primi anni come figura chiave del rinnovamento dell’haute couture post-bellica. Balmain non solo reagisce alla frammentazione e al disordine degli Anni Quaranta, ma anticipa alcune tensioni fondamentali che caratterizzeranno la moda francese del dopoguerra: l’equilibrio tra decorazione e rigore, la valorizzazione della femminilità attraverso volumi studiati, linee sartoriali precise. La sezione “Paris‑New York: A Transatlantic Vision” sottolinea come l’aspirazione a internazionalizzare fosse già nel DNA del marchio. Un episodio emblematico è il viaggio di Balmain a New York nel 1946 su invito di Helena Rubinstein, occasione in cui furono commissionati abiti per il lancio di un nuovo make-up e che portarono a un servizio su Vogue Us dal titolo New Look from Paris. Questa volontà di ponte con il mondo americano non è mera espansione commerciale, bensì parte integrante della costruzione di stile: il confronto con le geometrie urbane, con la cultura visuale globale (fotografia, celebrità, media), ha contribuito a modellare la cifra estetica del marchio soprattutto sotto Pierre Balmain, poi sotto successive direzioni creative. Rousteing è consapevole del peso e della responsabilità di essere parte di una tradizione che conta decenni e designer leggendari come Erik Mortensen, Oscar de la Renta, Christophe Decarnin. Tuttavia la sua operazione non è nostalgia: è una pratica di rilegittimazione stilistica che attraversa il passato con lo sguardo del presente. Uno degli elementi più significativi è il ritorno/rilancio del monogramma PB, introdotto negli anni Sessanta, oggi restaurato e reso centrale anche nel branding contemporaneo di Balmain. L’uso del monogramma non è ornamentale, ma simbolico: rappresenta la continuità, l’identità visiva, la coesione tra le epoche. Analogamente, certi dettagli ornamentali – il ricamo, il dorato, la lavorazione della haute couture –vengono riscoperti non come recupero vintage, ma come nodi vitali che attraversano ogni collezione, raccordi tra le visioni dei fondatori e le sensibilità attuali. La scelta del Printemps New York, e in particolare del suo raffinato spazio Boudoir, non è casuale. Il contesto del grande magazzino di lusso francese su suolo statunitense consente a Balmain di colloquiare con un pubblico internazionale sensibile tanto al lusso quanto alla cultura moda come fenomeno esperienziale. L’allestimento teatrale, la selezione degli oggetti in mostra – alcuni inediti –, il restauro estetico degli spazi e la cura scenografica rivelano l’intento di rendere visibile non solo il vestito, ma l’ideale di moda come forma d’arte totale. L’anniversario di Balmain non è soltanto un’occasione di celebrazione, ma offre un banco di prova per interrogarsi su alcuni temi di grande rilievo per il settore moda:
Durabilità culturale: in un’epoca in cui le maison cambiano direttori creativi con frequenza, in cui la viralità paradossalmente può erodere la forma, Balmain offre un esempio di continuità. Rousteing ne è artefice e al tempo stesso critico di quella continuità: sa che appartenere ad una historia implica rispetto del passato, ma non immobilismo.
Heritage vs re-invenzione: molte maison sono ossessionate dal recupero degli archivi. Balmain però non si limita al revival; trasforma l’eredità in infrastruttura di stile. Dettagli come il monogramma, l’ornamento dorato, certe silhouette, che sembravano già patrimonio storico, sono rivisitati come strumenti per parlare al presente.
Moda come dialogo globale: la sezione transatlantica, l’apertura statunitense, le influenze americane presenti fin dagli inizi del brand, non sono solo strategie di mercato, ma testimonianze che uno dei motori formativi della moda moderna è l’ibridazione culturale. Il fatto che la mostra apra a New York non è solo logistica, ma segno che la maison intende affermare la sua storia in un luogo simbolico della moda contemporanea.
Esperienza e visibilità: la moda oggi compete anche nello spazio esperienziale: spazi fisici, installazioni, spettacolarità visiva, condivisione digitale. One Night, Eight Decades rientra in questa tendenza, ma lo fa consapevolmente, utilizzando la storia come materia scenica, non come archivio polveroso.
Balmain agli ottanta anni non appare come una maison in crisi d’identità, ma come un organismo in evoluzione che guarda al domani con una profonda coscienza del proprio passato. Rousteing ha saputo fare dell’eredità un “materiale vivo”, capace di essere reinterpretato senza perdere dignità, senza cedere al semplice revival nostalgico. La mostra al Printemps New York è un capitolo simbolico: un ponte fra Parigi e New York, fra haute couture e cultura pop, fra passato e futuro. Un momento che definisce non tanto dove Balmain è stata, ma, con chiarezza nuova, dove intende essere.
Photo Courtesy of Balmain
di Elena Parmegiani per DailyMood.it
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L’articolo Ottant’anni di Balmain: l’eleganza come gesto teatrale proviene da Daily Mood.